
Il Seicento dopo Caravaggio
Francesco Boni
Matteo Vanzan
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Fu Giorgione che, come Leonardo, sentì l’esigenza di superare la maniera secca quattrocentesca e affrontare da principio il problema dell’imitazione della natura. Nasce in pittura la necessità di eliminare le regole prospettiche che avevano governato l’inizio dell’Umanesimo e del primo Rinascimento: con Leonardo e Giorgione in particolare l’artista si concentra sulle possibilità mimetiche del dipingere; nasce l’interesse dell’imitazione dei fenomeni naturali e in particolare per la resa della fusione atmosferica delle forme. Giorgione abbandona l’applicazione delle regole tradizionali, “usando”, secondo le parole del Vasari, “nondimeno di cacciarsi avanti le cose vive e naturali e contraffarle”; ancora una volta la storia ci dimostra che nel momento in cui un movimento culturale trova la sua piena realizzazione, già nei suoi autori più significativi vivono i germi di quello che sarà il decadimento dell’idea principale. Essendo capaci però di indicare la nuova strada che la creatività proporrà di seguire. Nella storia del realismo c’è un artista che sconvolge la pittura nella realtà europea. Non dimentichiamo che nel 1585 Caravaggio è un giovanissimo che a Milano studia i pittori lombardi mentre Annibale Carracci realizza la famosa macelleria oggi conservata a Oxford, dipinto che stravolse tutte le teorie sul sorgere della nuova pittura borghese nel nord Europa.
Siamo di fronte a un momento straordinario che ci fa comprendere quanto avverrà nella storia della pittura italiana dalla fine del ’500 fino all”800, come spiega lo stesso Flavio Caroli con queste parole: “fra il braccio realistico che nasce con Annibale e Caravaggio e quello formalistico di lontano conio rinascimentale, l’arte italiana crea, nel magico passaggio tra il Cinquecento e Seicento, un’accezione espressiva che sarà prevalente fino a tutto l’Ottocento: una lingua sofisticamente atteggiata e avvocatizia che non cede nulla alla retorica e cerca anzi, stringatamente, di nutrirsi di cose: cose, sentimenti che riassorbe instancabilmente all’interno delle proprie governate dal self-control. Piacerà prestissimo a Rubens, questa duttile arma, ai francesi in Italia come Vouet e Poussin, ai settecenteschi sobri, a David ovviamente, fino al primo romanzo contemporaneo, tessuto come una divina stuoia di sentimenti e di esattezze linguistiche che non sbagliano, non dicono un aggettivo o un avverbio, ma neppure un punto e virgola: i Promessi Sposi appunto”. Al vertice di tutto ciò c’è Ludovico Carracci che solo con un’invenzione, la “Conversione di San Paolo” nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, nel 1588 raggiunge il sommo, lo spettacolare, il naturalismo più autentico prima dell’apparizione di Caravaggio. Con la sua teatralità segna anche un’eloquente esplosione ideologica al cambiamento, la verità che mai è stata sottolineata con sufficiente veemenza è che Annibale e Ludovico annunciano prima ancora di Caravaggio la nascita del realismo. Per Caravaggio, spregiudicato, al di là di qualsiasi regola, non esistono maestri se non la natura ed il vero. L’identificazione della luce con la materia nella medesima pennellata, frutto delle peregrinazioni giovanili delle quali Michelangelo Merisi fu protagonista nelle chiese lombarde.
La nobiltà del soggetto non conta più nulla; ciò che ha veramente peso è il rapporto diretto con la realtà che vive in chiave Shakespiriana, in un progressivo cammino verso la tragedia. Dopo due secoli di venerazioni dell’antico Caravaggio ne esclude lo studio, ne contesta l’autorità, così come contesta tutte le norme estetiche codificate dall’Umanesimo e dal Rinascimento. Ciò che conta è la sua esperienza conoscitiva del vero che spesso comporta una cruda visione della realtà nella sua sconvolgente evidenza, fino al punto in cui il protagonista del dipinto vive nella realtà e non nella finzione pittorica. La tragedia dell’esistenza viene raccontata nello struggente Davide e Golia della Galleria Borghese, dove la vita appare in quello che avrebbe potuto essere e ciò che invece è stato. La lotta tra la morte e la vita, tra accettazione e repulsione della volontà di esistere. Questo è il dipinto “estremo” della storia dell’umanità. Con Caravaggio si realizza una scossa profonda in tutto l’ambiente dell’arte, sia quello romano dove il suo impatto è devastante, sia nel resto d’Italia: la novità del suo stile viene recepita a Napoli, in Sicilia, in Toscana, nel Settentrione ed ha ben presto diffusione a livello europeo. La rivoluzione naturalistica costituisce materia di studio per i prosecutori della sua opera in funzione delle tante novità che suggerisce. La pittura acquisisce nuovi elementi espressivi, le luci, il cromatismo, la materia, gli impasti; le ombre diventano fondamentali nel nuovo linguaggio pittorico.
Francesco Boni
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