
Alante Cleto Munari
Liborio Termine
Gio Dardano
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Il talento, in molti casi, ha bisogno di tempo per maturare e manifestarsi. Così è accaduto a Cleto Munari, che sembrava consumare la sua giovinezza nella dispersione del tempo.
Ricorda con tenerezza l’imbarazzo della madre quando, in tarda mattinata, gli amici venivano a cercarlo a casa e lei si vergognava a dire: “Cleto ancora dorme perché ha tirato a lungo la notte” – ogni notte –, e perciò diceva che era uscito, era fuori, a proteggerlo da una cattiva opinione che gli amici avrebbero potuto farsene. Lui, in dormiveglia, glielo sentiva dire e, divertito, rideva.
Perché, neppure a quel tempo, era davvero un “perdigiorno”, uno di quei giovani a cui il dono del futuro toglie il dono dell’esistenza. Cleto non ignora che la vita, ricco o povero che tu sia, non fa sconti a nessuno e specie quando ti chiede di acconciarti una “parte in commedia” (e sperando che non sia o non diventi una tragedia).
Non ama l’Università. Non gli interessa neppure scegliere una Facoltà che si suppone possa essergli congeniale: Architettura. Sa che non vuole costruire case o ponti. Sente che la sua immaginazione non coltiva visioni che possano dispiegarsi nella durata; istintivamente avverte che il sentimento della bellezza, che sin dalla nascita gli si è depositato dentro – il nonno aveva acquistato a Vicenza la Rotonda del Palladio –, ha bisogno di più urgenti e immediati campi di prova.
La bellezza, dunque: come progetto, come ricerca ed espressione di quella verità che può trovarsi solo fuori da ogni canone, da ogni accademismo. Ma quale Facoltà universitaria può corrispondervi? Non quelle umanistiche, perché troppo astratte. Non quelle ingegneristiche, perché obbligate alla precisione delle regole del calcolo. Prende una decisione non difficile, ma rischiosa: interrompe gli studi e consegna la propria formazione alla più eccentrica e personale Università che si possa concepire.
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