Luca Di Luzio. Geopittura

Marco Tonelli

Anno 2021
Formato 22 x 22
Pagine 132
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ISBN 979-1-280-04919-3

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Sgombriamo subito il campo da pur legittimi sospetti: le mappe, le cartografia e, le bandiere di Roberto Cuoghi, Luigi Carboni, Giovanni Ozzola, Flavio Favelli, Marco Neri e poi su tutti ovviamente Alighiero Boetti, non hanno niente a che fare con mappe, bandiere e cartografia e di Luca Di Luzio, il cui discorso nasce piuttosto dall’impronta come traduzione diretta di immagini su un foglio.
Le quali impronte (di parti del proprio corpo) vengono poi, con paziente e sapiente intervento di pennino, trasformate in isole, arcipelaghi, stati, continenti. Siamo in una dimensione del tutto fantastica, senza nessun sottotesto politico o storiografico, neanche legato al decor, al simbolo, alla scrittura. Il potenziale iconico del confine, della vessillologia e della geografia (vedi Le 10 mappe che spiegano il mondo o Le 100 bandiere che raccontano il mondo di Tim Marshall), quel potenziale così ricco di implicazioni etniche, globalistiche, politiche, non entra nella poetica di Luca, e viene liberato in senso puramente cromatico, pittorico, disegnativo, compositivo. Di Luzio traccia così la geografia della propria poetica artistica attraverso l’inganno e il referente della cartografia. La geografia del corpo, a partire dalla serie Atlas Ego Imago Mundi del 2015, si frammenta, si oscura e dà corpo a sua volta a mari e isole immaginarie, in cui mondo e corpo sembrano fondersi.
Qualche altro artista avrebbe fatto di una semplice silhouette geografica il pilastro portante della propria poetica di impegno. Mentre Di Luzio inventa stati e nazioni, ad altri sarebbe bastato infatti riprodurre i confini di Israele e Cisgiordania, del Messico e degli Stati Uniti, della Corea del Nord e di quella del Sud ad esempio per innescare il proprio discorso concettuale, riportando le tensioni politiche tra nazioni senza considerarne il valore estetico.
Di Luzio fa esattamente il contrario: l’apparato procedurale (l’impronta del corpo, il ripasso dei confini di questa impronta, minuzioso, rizomatico, microscopico) è il mezzo più depoliticizzato e di disimpegno che il pittore potesse trovare per tradurre la propria posizione nel mondo (dell’arte). Dall’impronta del corpo (quello del pittore e della pittura) alla mappa (veritiera e verosimile), dalle nazioni ritagliate su timbri alle loro impronte all over (un vago ricordo, involontario ovviamente, del tachisme di Henri Michaux), impronte che liberano gli stati-nazione dalla loro stessa referenzialità: ecco il ciclo vitale di Di Luzio. […] Marco Tonelli